UNA SERATA A BORGOTREBBIA IN COMPAGNIA DI VALENTINA TAMBORRA

VALENTINA TAMBORRA, classe 1983, è un personaggio veramente fuori dal comune. Nel raccontare se stessa parte in punta di piedi per poi snocciolare un crescendo di esperienze forti, sempre più forti, emozionanti, coinvolgenti, entusiasmanti.

Quel che dice ti contagia come un virus, senza possibilità di difenderti: non c’è antidoto, vaccino o mascherina che tenga, perché in modo molto semplice, parlandoti e sorridendoti, ti porta a capire che l’assecondare il tuo cuore conduce verso la bellezza della vita.

Valentina Tamborra mentre parla alla platea nel salone della parrocchia dei Santi Angeli Custodi

Ad un certo punto dice: “Ci sono stati momenti in cui ho pensato di essere sul punto di morire, se dovessi morire durante Il mio lavoro, morirei facendo ciò che più amo e pertanto avendo realizzato appieno la mia vita. Stando al posto giusto insomma”.

Valentina è una foto reporter e giornalista ed è venuta in visita alla parrocchia dei Santi Angeli Custodi in un giovedì sera di fine novembre del duemilaventuno, affannata, di corsa, nel mentre di un trasferimento da Milano verso Roma.

E’ docente di Comunicazione per immagini presso l’Istituto italiano di fotografia e tiene speach in alcuni dei più prestigiosi istituti italiani quali la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) e lo IED (Istituto Europeo di Design).

È autrice di reportage da molti angoli della terra, dal Kenya al Benin, dall’Iraq alla Norvegia, per non parlare dell’Italia, dove si è dedicata al progetto Poveri Noi sulla povertà di casa nostra e a ritrarre i luoghi e le persone del terremoto di Amatrice.

Il suo curriculum è tostissimo e la colloca a buon diritto tra i principali fotoreporter italiani.

SCEGLIERE

“Scegliere tra un bene ed un male non è difficile, quello che a volte è veramente difficile è scegliere tra due cose positive. Io avevo un lavoro, mi occupavo di marketing e di pubblicità, ma volevo raccontare storie, sentivo che quella era la mia vocazione, ed alla fine ho scelto di fare quello, di seguire il mio cuore, e di non trovarmi più seduta ad un tavolo a raccontare ai clienti come fare a vendere i loro prodotti”.

ASCOLTARE

Valentina voleva semplicemente ascoltare, diventare un orecchio ed un megafono a disposizione di chi aveva bisogno di raccontarsi. C’è un sacco di gente che ha storie bellissime da raccontare, e sono belle perché hanno dentro, magari nella sofferenza, il senso dell’esistere e la capacità di coglierne felicità e bellezza.

Ascoltare e dare voce, raccontare attraverso le immagini e non solo, (Valentina è anche giornalista); la parola scritta infatti è un elemento che accompagna le fotografie nelle sue pubblicazioni, per dire quello che le immagini da sole non possono raccontare e per dare un senso molto più profondo a quello che ritraggono.

“Se diventassi cieca”, dice, “continuerei a raccontare delle persone che incontro usando la parola, scrivendo le loro storie, perché è troppo forte in me il desiderio di dare voce agli altri

IL CONFINE È UNA FRONTIERA

Ho sempre pensato al confine non come ad una linea che divide, che esclude, ma ad una frontiera, una sorta di barriera permeabile che permette lo scambio per osmosi di genti costumi e culture.”

E’ stata sull’isola di Lesbo dove ha documentato il dramma di migliaia di migranti accatastati in un campo che poteva contenerne dieci volte di meno, ed ha cercato non già di documentare lo stereotipo del migrante, ma la bellezza degli esseri umani che in quel dramma sono immersi, la loro capacità di vivere consapevoli della bellezza della vita nonostante tutto, la loro voglia di non perdere la speranza.

Le foto di impatto ti allontanano dalle storie delle persone, non indagano, si limitano a raffigurare quello che tutti già si aspettano di vedere: i barconi carichi, le tendopoli, gli assembramenti. Direi che sono quasi pornografiche”.

La ricerca di Valentina procede in un’altra dimensione, cerca di raffigurare il volto della donna che si trucca ancora con quel poco che le è rimasto, dimostrando una forza immensa, nella quale diventa possibile immedesimarsi.

Io voglio che prevalga l’individuo prima di qualunque etichetta che gli si può affibbiare, prima di terremotato o di profugo, prima di migrante o di povero. Solo così si può raccontare qualcosa di lui, del suo esistere”.

E, permettetemi una aggiunta personale, solo così si può far sparire quel sentirci NOI in rapporto con LORO ed immedesimarci nei drammi degli altri, che sono uomini e donne, che gioiscono e soffrono, che si innamorano e si arrabbiano, che faticano e vivono animati dalle stesse pulsioni in ogni angolo di questo pianeta.

NAIROBI

“Sono stata a fare un reportage tra i rifiuti di Nairobi, in Kenya, là dove anche le persone, persino i bambini che per sfamarsi mangiano immondizia, vengono considerati e chiamati esse stesse rifiuti.” Di quell’esperienza ricorda una donna che aveva un quaderno sgualcito con scritti i salmi e le preghiere in swahili, che da quelle parti vengono cantate. Era felice per quella capanna di lamiera al limitare della discarica perché finalmente aveva un posto da chiamare casa.

una immagine del reportage di Valentina Tamborra nella discarica di Nairobi

SVALBARD

Valentina è stata anche nell’Artico, ai confini della Terra, alle Svalbard, che sono il luogo abitato più a nord del Mondo. Quelle isole che ospitano la banca dei semi, messi lì per sopravvivere a lungo nel caso si verifichi qualche catastrofe, un po’ come se dal ghiaccio dell’artico potesse ripartire l’umanità, o forse la terra stessa.

Un luogo nel quale la densità di orsi polari è più alta di quella delle persone, ed il confine non è tra due nazioni ma tra l’uomo e l’infinito.

Un luogo nel quale Valentina è andata a cercar pace, dopo aver vissuto emozioni ad alta intensità in luoghi dominati dalla guerra o dalla estrema povertà, nei quali l’empatia ed il voler ascoltare l’hanno portata a condividere le emozioni delle persone con le quali ha avuto a che fare.

Il costo alto della scelta che Valentina ha fatto nella vita è proprio questo: il sentire le emozioni degli altri è un peso che ti devi caricare sulle spalle, diversamente non puoi pensare di dare loro voce, di testimoniare la loro fatica di vivere, la loro disperazione.

“In certi momenti quella disperazione ti contagia, diventa tua, ti accompagna, ti segna, si imprime in modo indelebile nella tua memoria, ti fa stare male”.

IRAQ

Molto forte è poi il ricordo dell’Iraq e di Nassiria, quando si ammalò per non si sa quale parassita e rischiò di non tornare. Ma la vera sorpresa è che la parte emozionante non è quella che riguarda lei ma l’infermiere che a lei si è dedicato, chiamandola la mia principessa, e con il quale ha instaurato un legame talmente profondo che, nel periodo più duro del covid, si è sentita chiamare al telefono per raccontare come stava.

ACQUA

Quell’infermiere ogni mattina passava davanti alla caserma in cui erano acquartierati i carabinieri italiani, che era a poca distanza dall’ospedale, ed ogni volta aveva lo stesso scambio di battute con il carabiniere di guardia, armato fino ai denti: “Vuoi una sigaretta?”, “No grazie, non fumo” ed un “buona giornata” finale.

Dopo che la caserma subì l’attacco famigerato e sanguinoso, quel carabiniere venne ferito gravemente e lui lo ritrovò nella corsia dell’ospedale, andò al suo capezzale e lo sentì sussurrare: “Acqua, acqua”, e non conoscendo l’italiano pensò che “acqua” fosse il suo nome. Andò a sollecitare i medici perché intervenissero, pochi minuti, ma quando tornò “Acqua” era morto.

Alla fine si commuove anche lei, nel raccontare questa storia, e nel dire che poi, l’infermiere imparò quel tanto di italiano da capire il significato della parola acqua.

il panorama dell’Artico ritratto da Valentina Tamborra

LO STOCCAFISSO

L’ultima storia che ha raccontato è quella dello stoccafisso, giunto in Italia, anzi a Venezia, dopo il naufragio di un nobiluomo veneziano non lontano dalle isole Lofoten.

Nel farlo non riesce a nascondere il suo amore per i panorami artici, per quei giorni che non diventano mai notte, e per quelle notti che non finiscono, per quei panorami dominati da un cielo unico nella sua drammaticità e difficilissimo da fotografare.

E lei ci riesce in modo magnifico, riesce a ritrarre il panorama come se fosse un volto. Si riesce ad entrare nella sua storia, nella sua emozione, esattamente come nei ritratti delle persone.

IN CONCLUSIONE

Scegliere è necessario per non rimanere a metà di un guado in balia della corrente, io ho scelto di andare dove era il desiderio del mio cuore e sono felice di averlo fatto.

Grazie Valentina.

E bon!

l’oceano artico visto da un finestrino su un peschereccio